Ogni sportivo ha una strategia alimentare che abbina alla pratica del suo sport preferito. Sinteticamente si possono definire le seguenti strategie:

1. Nessuna strategia
2. Fare molto sport e mangiare ciò che si vuole
3. Fare molto sport e mangiare sano
4. Mangiare in base a un fabbisogno calorico che mantenga il proprio peso a un valore desiderato
5. Mangiare tarando la propria alimentazione a seconda dei consumi

Non avere strategie significa sostanzialmente non occuparsi del profilo alimentare della propria vita; diversa è la seconda posizione che invece giustifica un esagerato amore per il cibo con la propria attività sportiva. Nella strategia 3 l'eccessivo amore per il cibo è motivato non solo dal fare sport, ma anche dal scegliere cibi sani. La posizione 4 è tipica della stragrande maggioranza degli sportivi che curano la loro alimentazione e hanno una coscienza alimentare.
L'ultima strategia (dei consumi) è invece quella più fine ed esatta:

il fabbisogno calorico giornaliero diventa funzione di quanto si spende.

Senza diventare maniaci dei conti, ciò vuol dire che nei giorni da sedentari si mangia di meno, nei giorni da sportivi di più. Vuole anche dire che, se nel week-end si pensa di alimentarsi con un maggior numero di calorie, si è soliti piazzare allenamenti o gare lunghe per "smaltire".
Nella tabella che segue diamo gli scostamenti medi in chilogrammi rispetto a un teorico peso forma validi per un soggetto di 70 kg che pratichi attività sportiva a varie intensità. Il primo numero di riferisce a un soggetto di 20 anni, mentre il secondo a un soggetto di 45 anni.
 

 
Strategia    Intensità bassa    Intensità media    Intensità alta
1 Libera    0-20    0-15    0-10
2 Sport + Abbuffata    ott-25    mag-20    0-15
3 Sport + Buona tavola    mag-20    mag-15    05-ott
4 Calorie controllate    0-6    0-4    0-1
5 Consumi    0-0    0-0    0-0

Alcuni commenti:

1) La strategia dell'abbuffata è sicuramente peggiore di quella libera di chi non si preoccupa della propria alimentazione. Dai dati che ho esaminato, fare sport per abbuffarsi porta a un maggior sovrappeso perché il soggetto che sceglie questa strategia ha mediamente un pessimo rapporto con il cibo (il cibo è visto come gratificazione irrinunciabile della vita) che si scatena avendo un alibi. Chi usa la strategia libera spesso ha "un appetito normale".

2) Si noti come un giovane di 20 anni che fa un po' di sport praticamente non ha mai problemi di peso. Questa è una delle ragioni del sovrappeso in età adulta: il soggetto mantiene le stesse abitudini alimentari.

3) Si noti come chi si limita a mangiare genuino (strategia 3) non risolve granché nei riguardi del sovrappeso.

4) La cosa più interessante è il raffronto fra la strategia 4 e la 5. Se ho un fabbisogno di 14.000 kcal alla settimana, c'è una grossa differenza se seguo i consumi o se mi limito a far tornare i conti a fine settimana (del tipo: domenica abbuffata e lunedì insalata). Infatti se mangio in base ai miei consumi, il corpo funziona al meglio e non ci sono strani effetti come l'effetto letargo. Se invece riceve troppe calorie il giorno che è a riposo oppure poche calorie quando deve lavorare molto, attua delle strategie di difesa (per esempio diminuisce il metabolismo basale quando non ha calorie sufficienti) che alla fine portano sempre ad accumulare più grasso a parità di calorie consumate. Il fenomeno è tanto più evidente quanto più bassa è l'intensità della pratica sportiva.

L'effetto yo-yo è lo spauracchio di chi decide di perdere peso:

riacquistare peso in poco tempo, dopo averlo faticosamente perso.

È anche uno degli alibi migliori utilizzati da chi è contrario alle diete perché sarebbe la dimostrazione che le diete fanno male.
Nella popolazione è molto comune, tanto che si pensa possa riguardare l'85% di chi si mette a dieta; il dato è desunto dal fatto che solo una percentuale sicuramente inferiore al 15% di chi prova a sconfiggere il sovrappeso ci riesce e dal fatto che almeno il 90% di chi si mette a dieta ottiene "qualche" risultato.

Le cause sbagliate.

Una visione molto buonista dell'effetto yo-yo si basa su alcune ricerche (fra cui quella di D. Rosenbaum della Columbia University) che hanno studiato i sistemi con cui il corpo cercherebbe di ripristinare il vecchio peso. Se è vero che questi sistemi esistono, è pur vero che sono temporanei, nel senso che agiscono in base al peso degli ultimi mesi: una volta superato il disagio metabolico da dimagrimento, il corpo si abitua al nuovo peso da magri e con gli stessi sistemi si oppone al nuovo ingrassamento.
In altri termini, si tratterebbe di resistere per qualche mese e l'effetto yo-yo non compare. Del resto vale la solita tragica considerazione: nei campi di concentramento nazisti, nessuno di coloro che era paurosamente dimagrito era poi ingrassato per il semplice fatto che continuava la restrizione calorica.

Un test psicologico.

Per capire come la teoria dell'High People sia vincente, si può studiare l'effetto yo-yo grazie all'integrazione fra psicologia e alimentazione. Infatti può essere preso come esempio di forza di volontà anevrotica. Invito a leggere con attenzione la pagina dedicata a questa caratteristica.

La scelta sbagliata.

Molte persone decidono di mettersi a dieta per sconfiggere il sovrappeso confidando nella loro forza di volontà: "stavolta ce la faccio", "devo dimagrire per la salute", "devo dimagrire per apparire più bella/o", "devo dimagrire per fare meglio sport" ecc. Sembrerebbero posizioni sensate, ma non lo sono perché sono nevrotiche, dominate da una motivazione, asservite a essa. Proviamo a riflettere: se il soggetto fosse sicuro di non aver problemi di salute, di essere comunque giudicato attraente, di essere comunque competitivo nel suo sport (il sumo!), ecco che verrebbe meno la motivazione e con essa la scelta di seguire un modello alimentare salutista. Del resto, la famigerata prova costume spiega benissimo questo meccanismo e l'effetto yo-yo che ne consegue.

Ecco pertanto che avere una forte motivazione supportata da una grande forza di volontà serve solo temporaneamente: il peso del soggetto segue i cali di motivazione; non a caso molti soggetti smettono di pensare al loro sovrappeso non appena hanno trovato l'anima gemella che li "accetta così come sono" (così evita pure lei di mettersi a dieta!). Quando la motivazione è altissima, il comportamento del soggetto è addirittura ortoressico, quando cala, ci si lascia andare, "tanto poi si recupera" (notate l'analogia con il fumatore, in genere dotato di buona forza di volontà, che è convinto di "poter smettere quando vuole"). Così a un invito a cena si rifiutano scortesemente la metà delle portate perché "si è a dieta", si fanno sforzi terribili a base di verdure e beveroni, si pubblica in Internet o sul Corriere il proprio peso, calato ai livelli voluti ecc.
Ovvio che tali comportamenti non possono durare; appena la motivazione cala e si passa davanti a una pasticceria, zac, scatta il pensiero yo-yo: "ormai sono in peso, posso permettermi dieci chili di pasticcini". E si ripiomba nel baratro.

La scelta giusta.

È quella di sviluppare la propria volontà anevrotica, di rendere massimo l'autocontrollo della propria psiche. I segnali che arrivano dal mio corpo (stimolo della fame) passano attraverso il mio autocontrollo che ne riduce l'ampiezza in modo da gestirli senza fatica; gestirli senza fatica significa decidere se, come e quanto mangiare in base non agli stimoli, ma a considerazioni puramente mentali. Così posso amare il cibo e godermi un'ottima e abbondante cena, come posso praticamente digiunare per una giornata magari perché oberato di lavoro o intento in un'attività più gratificante che non il cibo.
Ci sono persone che svengono dalla fame, altre che, pur avendo un invito a cena, mezz'ora prima non riescono a resistere al fascino di un dolcetto ecc. Sono tutti esempi di carente forza di volontà anevrotica. E sono i maggiori aspiranti all'effetto yo-yo.

Lo scopo principale dell'allenamento, dal punto di vista medico, non è il raggiungimento di una data prestazione, ma realizzare il processo di adattamento che permette al fisico di sostenere i carichi di lavoro senza incorrere in traumi e infortuni. Si può dire che

lo scopo dell'allenamento è realizzare l'adattamento del corpo umano al gesto atletico.

Questo processo è possibile perché il corpo umano è in grado di reagire agli stimoli esterni e automodificarsi in modo da produrre una reazione più appropriata. Ciò lo differenzia da un sistema meccanico (un motore), che invece non è in grado di adattarsi, ovvero di modificarsi. Però il corpo umano limita le sue capacità di adattamento reagendo solo a particolari stimoli, non a tutti. Essi sono in grado di sollecitare i meccanismi biologici che permetto al corpo di adattarsi. Tali meccanismi sono innescati in base ad alcuni principi basilari:

    il sovraccarico,
    la progressione,
    la specificità,
    gli effetti incrociati e inversi,
    l'interferenza e
    il riposo.

Vediamoli in dettaglio.

Principio di sovraccarico.

Se una parte del corpo umano viene sollecitata in maniera maggiore rispetto alla normale attività, si realizza il sovraccarico: per esempio, correndo, la frequenza cardiaca si alza rispetto a quella a riposo. Le alterazioni indotte dal sovraccarico permettono di allenare il corpo, migliorando l'adattamento. Si è anche visto che per poter avere effetti allenanti, il sovraccarico non deve scendere al di sotto di una certa soglia.

Per esempio, se un sollevatore di pesi solleva in allenamento solo carichi di poco superiori a quelli che riesce a sollevare normalmente, il suo grado di allenamento (ovvero l'efficacia dell'adattamento) sarà quasi nulla. Il livello inferiore al di sotto del quale il sovraccarico non può scendere si dice livello di fitness. In termini più generali, chi sta sotto al livello di sovraccarico sta facendo low training.

Principio della progressione.

Questo principio è diretta conseguenza del precedente: una volta che il corpo si è adattato al nuovo carico, occorre aumentare lo sforzo effettuato, aumentando durata, intensità o frequenza di allenamento. Si deve quindi attuare una progressione, possibilmente in modo graduale per dare il tempo e l'opportunità al corpo di adattarsi al nuovo sovraccarico. La progressione dipende anche dal livello di partenza dello stato fisico dell'atleta, ovvero dal suo livello di fitness. Si è inoltre osservato che gli effetti del sovraccarico, ovvero l'adattamento del corpo, si attuano nei periodi di recupero tra una seduta di allenamento e la successiva.

Addirittura i processi di adattamento sono bloccati se i periodi di recupero sono troppo brevi. Facendo seguire a una fase di sovraccarico una di recupero e una diminuzione del sovraccarico si realizza un ciclo di allenamento ottimale che evita infortuni e permette al corpo di mettere in pratica i meccanismi dell'adattamento.

La specificità.

Una cosa che deve esser chiara nell'allenamento è lo scopo che si vuole raggiungere. Discipline diverse impiegano distretti muscolari diversi, e solo quelli coinvolti saranno oggetto del sovraccarico. Nell'ambito della stessa disciplina, per esempio la corsa, si possono osservare effetti di specificità: la capacità aerobica coinvolge solo i muscoli interessati, mentre l'attività anaerobica ha maggior effetto sul muscolo cardiaco e sui parametri del sangue. La corsa di resistenza, pur introducendo un guadagno generale a livello cardiovascolare, ha cioè sempre un effetto confinato ai muscoli coinvolti. Un allenamento anaerobico per la corsa ha effetto minimo sul nuoto e viceversa. La specificità è anche evidente negli esercizi di ginnastica: una serie di contrazioni muscolari isotoniche permettono di guadagnare forza solo per il valore di angolazione dell'articolazione interessata dall'esercizio.