Per capire cos'è il massimo consumo di ossigeno si consideri un soggetto che inizia a correre.

Se parte da una condizione di riposo, si mettono in moto meccanismi energetici più rapidi di quelli aerobici (cioè quelli che utilizzano l'ossigeno) per sopperire all'iniziale carenza energetica, vista la lentezza dei meccanismi aerobici. Vengono usati meccanismi ATP-CP (creatinfosfati) e glicolisi (cioè carboidrati bruciati senza l'uso dell'ossigeno); dopo qualche minuto (da due a quattro a seconda dell'allenamento del soggetto) i meccanismi aerobici si sono adeguati alla richiesta energetica e inizia lo stato d'equilibrio.

Durante questo stato l'atleta consuma ossigeno e tale consumo è costante. Se lo sforzo aumenta (come si può rilevare facendo correre il soggetto su un tapis roulant con inclinazioni crescenti della pendenza) aumenta anche il consumo d'ossigeno. A un certo punto il meccanismo aerobico non sarà in grado di fornire l'energia richiesta e inizierà la produzione di acido lattico. Il consumo d'ossigeno dell'atleta aumenterà comunque ancora finché a un aumento della richiesta energetica non ci sarà più incremento: l'atleta ha raggiunto il massimo consumo d'ossigeno (VO2max). Si verifica (Pèronnet) che l'atleta è in grado di prolungare lo sforzo in condizioni di VO2max per circa 7' e che la situazione corrisponde a concentrazioni di lattato nel sangue che vanno da 5 a 8 mmol (convenzionalmente 6,5).
In termini più pratici:
 
il massimo consumo d'ossigeno corrisponde alla massima potenza aerobica.
 
Poiché il meccanismo lattacido (l'accumulo di acido lattico, non la produzione) inizia a una percentuale ben definita del massimo consumo d'ossigeno è chiaro che:
 
per aumentare le prestazioni di un fondista si può innalzare il massimo consumo d'ossigeno e/o la percentuale di esso alla quale si inizia ad accumulare acido lattico.
 
In alcuni casi atleti ben allenati sono in grado di rimanere in soglia anaerobica per sforzi che superano il 90% del massimo consumo d'ossigeno.
C'è spesso confusione fra massimo consumo d'ossigeno e sua percentuale di utilizzazione: dire che un atleta d'élite ha valori di VO2max che arrivano fino all'85% è errato perché il VO2max non è una percentuale (si esprime in ml/kg/min millilitri per kg di peso al minuto). In realtà si vuole dire che per questi atleti la percentuale di utilizzazione, per esempio sulla maratona, arriva all'85%.  

 

VO2max e gare di fondo -

L'esempio tipico è rappresentato dalla maratona. Si ha produzione di lattato dalla glicolisi, ma la concentrazione (circa 2 mmol/l) del lattato rimane costante perché il lattato prodotto è uguale a quello smaltito. L'atleta sta lavorando a circa il 70% del massimo consumo di ossigeno (soglia aerobica).

VO2max e gare di mezzofondo prolungato - A seconda dell'allenamento dell'atleta è una gara che può durare da qualche decina di minuti a un'ora. L'atleta usa il meccanismo glicolitico e il contributo dei lipidi è trascurabile. Il lattato aumenta la sua concentrazione fino a 4 mmol/l, poi, pur proseguendo lo sforzo, non aumenta. L'atleta sta lavorando a circa l'80% del massimo consumo d'ossigeno (soglia anaerobica).

VO2max e gare di mezzofondo - Quando la velocità aumenta ancora (come nei 10000 m o nei 5000 m) e si supera l'80% del massimo consumo d'ossigeno il meccanismo glicolitico non è in grado di smaltire completamente il lattato prodotto che sale sopra al livello della soglia anaerobica e tocca il massimo all'arrivo nei muscoli e qualche minuto dopo nel sangue (ovviamente se l'atleta ha corso ad andatura uniforme a livelli da record personale).

VO2max e allenamento - L'allenamento permette di aumentare la percentuale del massimo volume di ossigeno (cioè l'intensità dello sforzo) alla quale si forma l'acido lattico: per un soggetto non allenato è circa il 55%, mentre per un soggetto allenato è il 75-80%. Si deve inoltre rilevare che i valori di 2 e 4 mmol/l sono del tutto convenzionali, potendo variare da atleta ad atleta: ciò che è importante è comprendere il concetto che portano con sé, cioè l'esistenza di un intervallo dove, mantenendo lo sforzo costante, la concentrazione di lattato non varia.

VO2max e scarpe - In generale 100 g di peso sulle scarpe aumentano il massimo consumo di ossigeno dell'1%; tradotto in secondi, se l'atleta sta andando all'80% del proprio massimo consumo d'ossigeno, si può stimare una perdita di 1-2”/km a seconda della velocità tenuta; a prescindere da questi calcoli, che per essere precisi dovrebbero tener conto del caso individuale (atleta e scarpa usata), è fuor di dubbio che convenga sempre scegliere la scarpa più leggera che in gara e nel post-gara dia i minori problemi.
 

VO2max e sistema respiratorio - Contrariamente a quanto pensa la maggior parte dei runner, non esiste una differenza significativa negli indici funzionali respiratori fra atleti di fondo e soggetti normali. Per amor di precisione devo osservare che alcuni studi hanno messo in evidenza che in atleti molto allenati per sforzi vicini al massimo consumo d'ossigeno (cioè molto intensi) non c'è una completa arterializzazione del sangue venoso, cioè la ventilazione polmonare limita la massima potenza aerobica. Ciò però sembra più una conseguenza dell'allenamento dei sistemi cardiovascolare e muscolare, spinti alle massime prestazioni, piuttosto che un cattivo adattamento di quello respiratorio che sostanzialmente con l'allenamento "resta quello che è".
 

VO2max e cuore - Poiché come visto la funzione respiratoria non ha incidenza sulle prestazioni, il massimo consumo d'ossigeno (che dipende dal fabbisogno energetico e quindi dal flusso di sangue nei tessuti interessati allo sforzo) dipende dalla gittata cardiaca (che esprime la massima capacità di trasporto dell'ossigeno ai tessuti). Poiché però il consumo d'ossigeno nel passare dalla condizione di riposo a quella di massimo consumo aumenta di 10 volte, mentre la gittata cardiaca aumenta di 4 volte (da 5 a 20 in un sedentario) deve esistere un altro fattore legato al massimo consumo d'ossigeno. Tale fattore è la differenza arterovenosa, cioè la differenza di ossigeno contenuta nel sangue arterioso e in quello venoso che rappresenta l'ossigeno ceduto ai tessuti. In 100 ml di sangue arterioso sono contenuti 20 ml di ossigeno, mentre in quello venoso 15, cioè in condizioni di riposo 5 ml vengono ceduti ai tessuti. All'aumentare dello sforzo e quindi del consumo d'ossigeno aumenta la differenza e si arriva a circa 17 ml in condizioni di massimo consumo d'ossigeno e in soggetti allenati. Tale dato è medio e potrebbe essere superiore riuscendo a interessare principalmente i muscoli coinvolti nello sforzo. Si deve comunque notare che non c'è differenza fra campioni e soggetti semplicemente allenati. Ricapitolando:
 
il massimo consumo d'ossigeno dipende dalla gittata cardiaca massima e dalla massima differenza arterovenosa.
 
È noto a tutti i runner che l'allenamento produce modificazioni al sistema cardiovascolare. In particolare l'allenamento aerobico aumenta la capillarizzazione dei muscoli allenati (con aumento della differenza arterovenosa di circa il 15%); aumenta anche la gittata cardiaca perché, pur diminuendo la frequenza cardiaca a riposo, aumenta di molto la gittata sistolica. Tale aumento è ottenuto con l'aumento del volume del cuore in seguito all'allenamento (anche del 25%); è da notare che il massimo consumo d'ossigeno in genere aumenta prima per effetto della maggior capillarizzazione e di altri fattori (maggior capacità ossidativa dei muscoli) rispetto all'aumento dovuto alla maggior gittata sistolica. Infatti nell'atleta l'ipertrofia cardiaca non è immediata, anche perché in genere non è permanente (riducendo cioè gli allenamenti tende a scomparire). È fondamentale sottolineare che esistono due tipi di ipertrofia: quella eccentrica in cui aumentano le dimensioni delle cavità cardiache e quella concentrica in cui aumentano le dimensioni delle pareti. La prima è indotta da allenamenti di resistenza (dovendo fornire a lungo un gittata cardiaca elevata), mentre la seconda da allenamenti di forza (dovendo fronteggiare un aumento della pressione); quest'ultima non aumenta significativamente la gittata sistolica. L'allenatore di giovani atleti deve pertanto valutare se dirigerli verso il mezzofondo (800 e 1500 m) o verso il fondo perché gli allenamenti tipici dei mezzofondisti veloci (ripetute brevi, ripetute su salite corte ecc.) possono indurre un'ipertrofia concentrica che ovviamente non è utile nell'ottica di competere su lunghe distanze.
 

VO2max e deallenamento - In particolare si è visto che in soggetti allenati, mantenendo invariata la frequenza d'allenamento:
a) con la riduzione della durata dell'allenamento non si riduce il massimo consumo d'ossigeno;
b) con la riduzione dell'intensità si riduce il massimo consumo d'ossigeno.

VO2max ed età - Molti studi effettuati prima del 1990 arrivavano a conclusioni piuttosto pessimistiche circa la diminuzione della capacità aerobica con l'età (massimo consumo d'ossigeno) e dell'efficienza cardiaca (ricordo la vecchia e superata formula della FCmax=220–età). In realtà tali studi sono in via di correzione poiché non tenevano nel giusto conto il fatto che:
 
gli effetti dell'invecchiamento sono meno sensibili con l'attività sportiva e con l'alimentazione corretta.